Uno sguardo sulla giurisprudenza delle alte corti

Nei giorni scorsi sono state pubblicate due importanti decisioni che riguardano le misure di sicurezza per persone affette da patologie psichiche che abbiano commesso dei reati. La prima, nel caso Sy contro Italia, è stata pronunciata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, la seconda dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 22/2022).

Nelle prossime settimane da Strasburgo è anche attesa la decisione nel caso Ciotta contro Italia, su cui il Garante nazionale delle persone private della libertà si è presentato come amicus curiae cioè ha partecipato al procedimento per aiutare la Corte a decidere in modo congruo.

Nel caso Sy contro Italia la Corte europea condanna il nostro Paese per violazione degli art. 3 (divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti) e 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu) e ordina di risarcire Giacomo Sy per essere stato ingiustamente detenuto, in due periodi, prima nel carcere di Regina Coeli e poi in quello di Rebibbia e per aver subito un trattamento inumano e degradante in sezioni detentive “ordinarie”, nonostante le sue condizioni psichiche e nonostante il giudice avesse ordinato, provvisoriamente, il suo ricovero in Rems (cioè in una Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza), proprio in ragione delle sue condizioni di salute e in attesa della conclusione della vicenda processuale.

Nonostante l’ordine del giudice, dunque, Sy era finito in “lista d’attesa” per un posto in Rems e collocato in carcere, dove non aveva ricevuto un trattamento adeguato. Nel condannare l’Italia, la Corte afferma un principio importante: le carceri non sono luoghi di cura adeguati per la presa in carico di patologie psichiatriche gravi, vanno dunque immaginati nuovi modelli per la salute mentale inframuraria, in stretto contatto con i servizi per la salute mentale. Le condizioni di vulnerabilità psichica , ribadisce la Corte, richiamando numerosi precedenti giudizi, rendono la persona detenuta ancora più vulnerabile e bisognosa di un trattamento adeguato e personalizzato. Se, come nel caso di Sy, si dimostra invece che nessun intervento specifico è stato fatto, allora si integra la violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europa dei Diritti dell’Uomo, che vieta trattamenti inumani e degradanti. Nell’affermare questo principio, la Corte fa esplicito riferimento ai report e alle osservazioni raccolte dalle figure di garanzia e alle associazioni per la tutela dei diritti delle persone detenute, in particolare alla Relazione annuale al Parlamento del Garante Nazionale.

Veniamo alla seconda decisione, quella della Corte Costituzionale. Proprio sulla legittimità costituzionale delle “liste d’attesa”, il giudice penale di Tivoli aveva interrogato la Corte costituzionale, domandandosi se sia compatibile con la Costituzione il fatto che l’ordine di ricovero pronunciato da un magistrato non venga eseguito, per ragioni organizzative e di cronica mancanza di posti nelle Residenze per l’Esecuzione di misure di sicurezza.

La Corte, prima di decidere, aveva emesso un’ordinanza istruttoria con cui chiedeva ai ministeri della Giustizia e della Salute maggiori elementi di fatto sulle misure di sicurezza psichiatriche e, in particolare, sulla consistenza delle “liste di attesa”. Le risposte dei ministeri hanno permesso di avere un quadro dettagliato e dati aggiornati, sulla base dei quali la Corte si è infine pronunciata.

La Corte ha infatti dichiarato inammissibili le questioni poste dal giudice penale e ha fornito una articolata motivazione indicando anche alcuni possibili correttivi che il legislatore dovrà considerare, nel caso decida di intervenire in materia di misure di sicurezza.

Il giudice costituzionale ha anzitutto ribadito che l’inserimento in una Rems dell’autore di reato non imputabile e ritenuto di possibile pericolo non è mai una misura automatica, bensì residuale all’interno di una presa in carico da parte delle strutture territoriali.

Molto significativo il passaggio della decisione in cui la Corte ribadisce la natura delle Rems, quali luoghi di cura, dove si attivi un percorso positivo di ritorno nella società (senza che questi luoghi si trasformino in cronicari in stile manicomiale) e dove si persegua anche la sicurezza per la collettività. È importante l’affermazione da parte della Corte della necessità di una strategia composita per ridurre il divario tra posti disponibili e provvedimenti di assegnazione, in contrasto con chi vorrebbe riportare il problema al mero aumento numerico dei posti. La Corte ricorda, così come peraltro affermato ripetutamente dal Garante nazionale, l’importanza di «valorizzazione e potenziamento delle alternative terapeutiche per la salute mentale esistenti sul territorio, sì da contenere il più possibile la necessità di ricorrere ai provvedimenti custodiali nelle Rems». Il sistema delle Rems esce dalla sentenza della Corte confermato nella sua positività. Deve però superare gli elementi di immaturità ancora evidenti nel ricorso frequente all’assegnazione e deve essere in grado di dare risposte omogenee e di effettiva presa in carico. Un sistema che deve comunque essere sempre percepito dalla collettività come un progresso culturale e sociale nell’affrontare il tema dei cosiddetti “folli rei” che ha chiuso l’oscuro capitolo degli Ospedali psichiatrici giudiziari.