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È arrivata l'ora di cambiare il carcere

Il nuovo anno ha iniziato il cammino, nei suoi primi due giorni, con due persone detenute che si sono suicidate: a Salerno e a Vibo Valentia. Storie diverse su cui è inopportuna qualsiasi congettura proprio per il rispetto che si deve a scelte così estreme. Ma ciò non fa venir meno la necessità di una riflessione generale sul carcere e sull’accentuata difficoltà attuale di chi al suo interno vive e anche di chi vi lavora. Perché una persona privata della libertà da parte dell’autorità pubblica è a questa affidata per la tutela dei suoi diritti, pur nella specificità della reclusione: in primo luogo la sua vita, la sua integrità e la sua dignità. E perché chi lavora in un così complesso sistema ha diritto di avere una direzione chiara del proprio impegno e sicurezza nell’operare.
 
L’interrogativo inevitabile posto da queste rinunce alla propria vita – più di una a settimana nell’anno appena trascorso – riguarda la fisionomia attuale del nostro sistema di detenzione. Una domanda essenziale oggi perché è giunto il tempo di far corrispondere alla positiva ripresa di una riflessione sull’aderenza dell’esecuzione penale al suo profilo costituzionale, ultimamente più volte evidenziata da governo e amministrazione, concreti passi attuativi che migliorino il sistema nel suo complesso: dalle condizioni di chi vi opera, alla diminuzione delle tensioni, alla delineazione di un profilo chiaro del tempo della detenzione. Soprattutto del suo non essere una mera sottrazione di tempo vitale. Come ancora troppo spesso risulta essere.
 
Con questa tensione a superare il disagio che oggi pervade la gran parte degli Istituti, le persone attente al mondo della detenzione hanno guardato i lavori della Commissione insediata dalla Ministra della giustizia in settembre e che ha ora prodotto una corposa relazione con l’indicazione di azioni da intraprendere. Guidata dal professore Marco Ruotolo ha lavorato lungo il binario dell’aderenza costituzionale dell’esecuzione penale, individuando tre linee di interventi, che prevedono responsabilità e tempi diversi: la prima indica le possibili azioni – ben trentacinque – che possono incidere positivamente sulla vita detentiva di ogni giorno e che sono realizzabili sin da oggi; la seconda quelle che richiedono un aggiornamento del regolamento della detenzione; la terza gli interventi su alcune norme. Se per quest’ultima forse occorre attendere un complessivo chiarimento dello spazio di agibilità politica, già per quelle azioni che richiedono modifiche regolamentari ci si può muovere con quella speditezza che la Ministra ha garantito di voler ora mettere in campo.
 
Le azioni che incidono sulla quotidianità e non richiedono interventi normativi riguardano, per esempio, la semplificazione delle autorizzazioni per ricoveri ospedalieri, la possibilità di permessi per eventi non solo di particolare ‘gravità’ ma anche di particolare ‘rilevanza’ per la vita familiare della persona ristretta, la ridefinizione del regime di sorveglianza particolare anche per affrontare il tema delle aggressioni, i colloqui a distanza che non incidano sul numero complessivo dei colloqui, la rappresentanza dei detenuti per alcune specifiche materie, la creazione di unità regionali per il  lavoro penitenziario. A questi e altri importanti aspetti si aggiungono quelli altrettanto rilevanti della revisione del regolamento che toccano temi quali l’accesso alle tecnologie, la continuità dei percorsi al riparo da trasferimenti che possano interromperla, l’introduzione di meccanismi di mediazione e riparazione nei procedimenti disciplinari; solo per citarne alcuni.
 
Per questi interventi il percorso può essere rapido e deve esserlo per aprire la via a quegli interventi normativi, limitati e necessari, che ridiano fisionomia al nostro sistema detentivo. Sono sei le direttrici: la gestione dell’ordine e della sicurezza, potenziando il sistema di videosorveglianza; la tutela della salute con particolare attenzione al disagio psichico; l’estensione delle tecnologie; il lavoro e la formazione professionale; l’effettività dei diritti. L’ultima, ma fondamentale, riguarda la formazione del personale, sia iniziale, sia nel corso di un difficile e sottovalutato lavoro, nelle sue diverse sfaccettature professionali: tutte ugualmente essenziali.
 
Una traccia di speranza all’avvio di un anno che deve saper rispondere da subito a quella richiesta di voltare pagina che sale dalle nostre deprimenti carceri.
 
Mauro Palma (La Stampa, 7 gennaio 2022)