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IL GARANTE NAZIONALE NEI GIORNI DELL’EMERGENZA COVID-19

31 marzo

Istituti penitenziari

Sono 57.405 le persone detenute presenti oggi negli Istituti penitenziari, a fronte di meno di 48.000 posti disponibili. Ancora troppe per consentire che siano attuate le misure precauzionali indispensabili per impedire la diffusione del virus Covid-19. Per tale motivo il Garante nazionale ritiene indispensabile, pur apprezzando quanto fin qui fatto, che siano adottate nuove e incisive misure in grado di arrivare a una sensibile riduzione della popolazione detenuta.

Gli Istituti continuano ad attivare al loro interno reparti dove effettuare l’isolamento sanitario. Oggi sono 122 Istituti con 171 reparti e vi sono ospitate 380 persone, così distribuite: 80 in Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta; 26 in Lombardia; 15 in Emilia-Romagna e Marche; 26 nel triveneto; 16 in Lazio, Abruzzo e Molise; 90 in Campania; 20 in Puglia e Basilicata, 61 in Sicilia e nessuno Sardegna.

Stanno arrivando dai Provveditorati le risposte sulle conseguenze dei disordini che si sono verificati nelle settimane scorse. I Provveditorati in cui vengono riportati i maggiori danni sono la Lombardia e la Campania con un conto economico che viene stimato come estremamente alto, dell’ordine di qualche milione di euro. I danni sono pesanti anche in alcuni Istituti del Lazio e dell’Emilia-Romagna, anche se al momento non si ha la valutazione economica precisa.

La rete dei Garanti

I Garanti territoriali hanno confermato la loro attenzione e vigilanza alla situazione negli Istituti di loro competenza.  La situazione viene riportata come sostanzialmente calma, nei limiti della tensione che avvolge tutti in questo periodo e in particolare chi vive la privazione della libertà in realtà chiuse. Tuttavia, forte è anche l’attesa di alcuni mutamenti, così come il rischio che possa ritornare una sensazione di abbandono e possano svilupparsi anche forme di esasperazione.

Il Garante nazionale e i Garanti territoriali sottolineano la necessità che accanto alle usuali forme di comunicazione, su cui si è dibattuto in questi giorni, una particolare attenzione sia dedicata a che tali modalità vengano utilizzate anche per non interrompere i percorsi di formazione e di istruzione. La Rete delle scuole ristrette ha chiesto ai Ministri dell’istruzione e della giustizia di realizzare percorsi di teledidattica in carcere e di avviare una discussione su come far sì che l’attività formativa possa proseguire.

La rete internazionale

Il Sottocomitato per la prevenzione della tortura e degli altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti (Spt), istituito in base al Protocollo opzionale alla Convenzione Onu contro la tortura (Opcat), il 25 marzo ha adottato un nuovo Parere più generale su come il Sottocomitato stesso e i Meccanismi nazionale di prevenzione (Npm) debbano continuare a esercitare il proprio mandato durante la situazione d’emergenza determinata dalla diffusione globale del Covid-19.

Il Parere è articolato in 5 capitoli: un’introduzione, una parte che riguarda le misure rivolte alle Autorità che gestiscono tutti i luoghi di privazione della libertà (dalla detenzione penale a quella amministrativa dei migranti, alle strutture per rifugiati, agli ospedali psichiatrici fino a tutti gli altri ambiti, in particolare quelli sanitari), un terzo capitolo rivolto alle misure che le Autorità dovranno adottare nei confronti di coloro che si trovano nei luoghi formali destinati alla quarantena, una quarta parte relative alle misure che gli Npm possono adottare e un quinto e ultimo capitolo di conclusione.

Questi i principi espressi dal comitato Onu.

Per tutelare in modo efficace i luoghi di privazione della libertà – e conseguentemente il mondo esterno ai luoghi chiusi – bisogna proteggere i diritti di tutti e cioè «tutti i diritti delle persone private della libertà» ma anche «delle loro famiglie, del personale di custodia e di quello medico-assistenziale» al massimo grado. 

Quindi, il Spt sottolinea l’importanza in questo periodo di due principi: il “do not harm” cioè il dovere di non arrecare danno e il “principio di equivalenza delle cure” in base al quale il livello di cura delle persone private della libertà deve essere equivalente a quello di un qualsiasi paziente.  

Ancora il Comitato Onu evidenzia la necessità e l’opportunità di operare una comunicazione trasparente: le limitazioni per motivi di salute pubblica devono essere spiegati preventivamente e in modo chiaro per evitare opacità che possono riflettersi in proteste e violenze.

Infine, il Spt chiarisce che, adesso come non mai, gli Npm e il Sottocomitato stesso devono portare avanti il loro mandato di controllo, monitoraggio e visita dei luoghi di privazione della libertà al fine di prevenire tortura e gravi maltrattamenti perché più le strutture si chiudono verso l’esterno – anche se per motivi sacrosanti – e più si innalza il rischio di tali comportamenti.

Insomma, l’occhio giuridico deve lavorare in sinergia con l’occhio sanitario. Come osserva il Sottocomitato, in questi tempi di Covid-19 è «responsabilità del Spt e degli Npm rispondere in modo fantasioso e creativo alle nuove sfide che devono affrontare nell’esercizio del loro mandato definito dall’Opcat».

L’impatto sulla mobilità globale della crisi pandemica, determinato dalla chiusura delle frontiere e dal netto ridimensionamento dei collegamenti internazionali, ha chiaramente coinvolto anche la dimensione dei voli di rimpatrio forzato, di fatto sospesi in tutti gli Stati europei. Le immagini di questi giorni delle applicazioni web per il monitoraggio in tempo reale del traffico aereo tracciano, per lo più, le rotte di aerei che collegano zone interne ai diversi Paesi o continenti.  Il pullulare indistinto di aeroplani che si affastellavano su ogni punto della mappa globale senza soluzione di continuità oggi è sostituito dal ritratto di un traffico ordinato di pochi apparecchi concentrati su zone distanti tra loro.

Per tale motivo, nell’ambito della rete europea di monitoraggio dei rimpatri forzati a cui il Garante aderisce, è stata promossa un’indagine sulla situazione dell’esecuzione dei rimpatri forzati di stranieri irregolari in coincidenza con l’emergenza Covid-19. All’indagine hanno risposto 15 Paesi, tra cui l’Italia.

Sebbene in molti di essi le operazioni di rimpatrio forzato non siano state sospese ufficialmente dalle Autorità competenti, le attività, dopo essersi drasticamente ridotte, sono allo stato attuale ferme per la quasi totale cancellazione dei voli nazionali e internazionali e per la diffusione dello stato d’emergenza in quasi tutti i Paesi del mondo. In pochissimi casi sono ancora organizzati rimpatri volontari assistiti e attività di respingimento, nonché trasferimenti via terra da una frontiera all’altra: è il caso della Grecia e dell’Albania. Per quanto concerne le attività direttamente coordinate e organizzate dall’Agenzia europea Frontex, anche in questo caso si registra un drastico calo delle attività: dal 17 marzo scorso, risultano eseguite soltanto due operazioni di rimpatrio forzato con volo charter, mentre nella settimana del 23 marzo sono state sette le operazioni organizzate tramite voli commerciali.

Alla richiesta di informazioni hanno risposto, oltre all’Italia, l’Austria, il Belgio, la Bulgaria, la Croazia, la Repubblica Ceca, l’Ungheria, la Grecia, la Svizzera, la Norvegia, l’Olanda, il Lussemburgo, la Romania e la Slovacchia.

Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr)

Strettamente correlate alla sospensione delle attività di rimpatrio sono le vicende relative al trattenimento delle persone espulse che in base alla normativa internazionale ed europea trova giustificazione esclusivamente nell’effettiva possibilità di garantire l’esecuzione dei provvedimenti di allontanamento.

In molti Stati si sono sollevate le voci per una chiusura, quanto meno temporanea, dei Centri di detenzione amministrativa, considerati oggi privi di legittimazione e, come tutte le comunità ristrette, incompatibili con le misure di prevenzione del contagio stabilite per la popolazione in generale e inadeguati sotto il profilo dei presidi sanitari interni.

Il richiamo più forte è arrivato dalla Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatovi? che il 26 marzo ha chiesto a tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa di rivedere la situazione dei richiedenti asilo respinti e dei migranti irregolari in Centri di detenzione e di procedere al loro rilascio nella massima misura possibile.

Dando uno sguardo alla stampa estera, i Paesi che hanno avviato iniziative di ridimensionamento dell’attività dei Centri appaiono molto pochi. Oltre alla Spagna di cui si è dato conto nei giorni precedenti, merita attenzione la decisione assunta nel Regno Unito la settimana scorsa, a seguito di un’azione legale avviata dall’organizzazione Detenction Action, di disporre il rilascio di più di 300 persone considerate maggiormente a rischio di contrarre l’infezione. Le Autorità inglesi hanno, inoltre, diramato delle Linee guida per il contrasto dell’epidemia in tutti i luoghi di privazione della libertà, si sono impegnate a sottoporre a urgente revisione tutte le misure detentive di trattenimento in atto, al fine di valutare ulteriori prossimi rilasci (736 le persone trattenute alla data del 24 Marzo secondo Detenction Action) e hanno disposto il divieto di trattenimento di persone passibili di ordine di rimpatrio verso 49 paesi, tra cui la Giamaica, l’India, il Pakistan, l’Iraq, il Sudan e l’Albania.

Prima del Regno unito, anche in Belgio le Autorità avevano disposto la liberazione di circa 300 persone tenendo conto dell’impossibilità di rispettare le misure di distanziamento sociale richieste per evitare il diffondersi dell’epidemia.

Diversa appare, invece la situazione della Francia, dove l’azione legale intrapresa da una rete di associazioni che chiedeva la chiusura dei Centri per il rimpatrio non ha trovato accoglimento da parte del Consiglio di Stato francese, che ha rigettato la richiesta forte dei dati che gli sono giunti di pochissime persone in essi presenti (152 alla data del 26 marzo), della distribuzione di materiale per l'igiene personale e dei luoghi, della maggiore attenzione rivolta ai nuovi ingressi e alla salute in generale all'interno dei Centri. Rispetto poi al venir meno del presupposto della legittimità della misura restrittiva per impossibilità di effettivo allontanamento, il Consiglio di Stato avrebbe ricevuto informazioni dall'Autorità amministrativa di aver effettuato anche nel recente periodo operazioni di rimpatrio.

Sempre con riguardo alla Francia, si attende ora la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo adita con una procedura d’urgenza in relazione alla possibile configurazione di trattamenti inumani e degradanti lesivi dell’integrità fisica delle persone trattenute all’interno dei Centri per il rimpatrio. Entro oggi il Governo francese dovrà fornire una serie di chiarimenti ai Giudici di Strasburgo e poi la parola spetterà a loro.

https://www.gov.uk/government/publications/covid-19-prisons-and-other-prescribed-places-of-detention-guidance/covid-19-prisons-and-other-prescribed-places-of-detention-guidance

https://www.conseil-etat.fr/ressources/decisions-contentieuses/dernieres-decisions-importantes/conseil-d-etat-27-mars-2020-demande-de-fermeture-temporaire-des-centres-de-retention-administrative-cra?fbclid%20%E2%80%8B

La presenza attuale nei Cpr italiani è di 344 persone, di cui 23 donne. La maggiore presenza è a Roma e a Torino: 93 tra uomini e donne nel primo Centro, 90 nel secondo.

Se si esamina l’andamento delle presenze a partire dal 12 marzo, si vede comunque un calo, seppure molto lento:

12 marzo

425

16 marzo

410

20 marzo

393

24 marzo

381

27 marzo

367

31 marzo

344

 

 

Residenze per persone con disabilità o anziane

Si è svolta oggi la conferenza stampa congiunta tra il Garante nazionale e l’Istituto superiore di sanità sulla situazione delle Residenze sanitarie assistite rispetto all’epidemia di Covid-19 e sulla ricerca che le due istituzioni stanno conducendo insieme sul tema. I primi risultati dell’indagine saranno resi noti nei prossimi giorni.

Al momento ci sembra importante sottolineare la rilevanza della collaborazione tra istituzioni così diverse che consentono di esaminare la nuova situazione con il doppio sguardo, quello di tipo sanitario e quello della tutela dei diritti, in un contesto difficile e critico come quello delle residenze per persone anziane.

Su tali strutture il contributo del Garante nazionale è di assicurare il pieno rispetto dei diritti di chi vi è ospitato: parliamo di 88.571 persone. Questo in forza del mandato delle Nazioni unite che assegna ai Meccanismi nazionali di prevenzione (Npm), e quindi in Italia al Garante nazionale di vigilare, su ogni forma di privazione della libertà che si realizzi anche di fatto, per qualsiasi motivi essa sia attuata, da quella delle persone ristrette negli Istituti penitenziari a chi è sottoposto a un trattamento sanitario obbligatorio, a chi è ospitato in una struttura residenziali dove talvolta si entra volontariamente ma non sempre è altrettanto facile uscirne.