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L'allarme del Garante: "Stop ai rimpatri in Egitto, si rischiano trattamenti inumani"

di Liana Milella su Repubblica - 28 ottobre 2021

Mauro Palma è molto preoccupato. Era in aula quando è cominciato, ed è subito finito, il processo Regeni. Il suo pensiero, di continuo, va a Patrick Zaki e alla sua prigionia. E mentre il suo staff, a campione, sale sui charter che effettuano i rimpatri forzati di persone migranti anche in Egitto, Palma decide di lanciare un'allerta, un "no" proprio a quei rimpatri nei Paesi d'origine che potrebbero tradursi in conseguenti trattamenti inumani. Perché i fatti parlano chiaro e Palma, parlando con Repubblica, li elenca in un allarme che diventa progressivo. C'è un dato numerico tondo, mille persone, tanti sono gli egiziani rimandati in patria dal 2018 al 15 settembre 2021. E poiché, come spiega il 'Garante delle persone private della libertà', "molti rapporti internazionali parlano di casi di detenzione in Egitto basati su  motivi ideologici e, alla luce dei fatti, non ci sono garanzie sul futuro delle persone che vengono espulse, una volta rientrate in quel Paese, allora bisogna ripensare i rimpatri forzati in Egitto, perché si rischiano trattamenti inumani". 

 Partiamo dal caso Regeni. Perché ha deciso di essere in aula durante l'avvio del processo per il suo assassinio?
"Era importante verificare, in questa terribile circostanza, la volontà cooperativa delle autorità egiziane. Così com'era importante far percepire a tutti coloro che si sono occupati di questa vicenda, perché colpiti negli affetti o per impegno professionale, che l'occhio di un'istituzione di garanzia dei diritti delle persone più vulnerabili esiste ed è vigile".

In che senso lei, come Garante, può vigilare in una vicenda come questa?
"Il Garante nazionale è un organismo di prevenzione nel quadro di uno specifico trattato dell'Onu, noto con la sigla Opcat. Deve prevenire maltrattamenti e tortura, e proprio per questo affermare una cultura di accountability: le autorità dello Stato devono rispondere di come trattano i propri cittadini e saper individuare situazioni in cui i primi fondamentali diritti - la dignità e l'integrità fisica e psichica - non sono rispettati. Deve saper sconfiggere ogni ipotesi di implicita impunità. Questo è un tema che non ha confini; che chiama in causa la responsabilità di ogni Stato, anche dell'Egitto, soprattutto quando la questione coinvolge un nostro concittadino illegalmente privato della libertà, e torturato fino alla morte".

Mi scusi, ma proprio sull'Egitto i vostri dati parlano chiaro. I rimpatri sono stati 748 dal 2018 al 2020. Nel 2021 l'Egitto figura come terza destinazione per ordine di grandezza dopo Tunisia e Albania. E sono 252 i cittadini egiziani rimpatriati al 15 settembre di quest'anno. Stiamo parlando di mille persone, in meno di quattro anni...
"Già nel 2018, nella nostra Relazione al Parlamento, avevamo espresso forti perplessità sull'opportunità di organizzare voli di rimpatrio forzato verso Paesi come l'Egitto che non hanno istituito un organismo nazionale di prevenzione della tortura o di altri trattamenti o pene inumane o degradanti. Un Paese che non ha firmato e tantomeno ratificato proprio quel trattato Opcat di cui ho parlato prima".

I rapporti di varie organizzazioni non governative parlano di carceri egiziane dove non vengono rispettati i più basilari diritti umani e documentano che si può essere incarcerati per un'opinione o per un tweet, come dimostra proprio la vicenda di Patrick Zaki, in cella da un anno a dieci mesi. Chi può davvero pensare che ai rimpatriati vengano garantiti dei diritti?
"Proprio questo apre un problema nel considerare la possibilità di rimpatrio di persone egiziane senza specifiche garanzie. Il Rapporteur dell'Onu sulla tortura ha più volte ricordato che gli Stati che intendono allontanare stranieri dal proprio territorio devono scrupolosamente valutare se la persona non corra il rischio di maltrattamenti una volta rientrato in patria, anche considerando la 'generale situazione di violenza' nel Paese destinatario. Non basta controllare che lì sia in vigore una serie di leggi di tutela; occorre considerare anche i report di affidabili Organizzazioni internazionali sulla reale situazione".

Ma alla luce dei casi Regeni e Zaki è evidente che l'Egitto non fornisce affatto queste garanzie. 
"Se lei mi chiede quale sia la fisionomia che emerge dell'Egitto di oggi, io le rispondo che non è certo quella di quando accordi di cooperazione con l'Italia vennero stabiliti molti anni fa, perché questi accordi devono essere sempre sottoposti all'esame della variabilità della situazione interna. E anche le vicende di Regeni o quella, che speriamo abbia presto un esito positivo, di Zaki, sono indicatori del clima attuale o di quello di anni recentissimi".

E quindi lei come conclude il suo ragionamento alla luce dei fatti che abbiamo di fronte?
"In modo molto semplice. A oggi non si può escludere a priori che i cittadini in posizione di irregolarità forzatamente rimpatriati vengano percepiti, una volta rientrati in Egitto, in qualche modo come ostili al regime e che in ragione di queste percezioni possano subire particolari vessazioni, da noi oggi non prevedibili. Per questo credo che l'Europa, nel suo complesso, dovrebbe riflettere sul tema dei rimpatri forzati quando Paesi di dubbia situazione democratica sono coinvolti".

Professor Palma, sta dicendo che non solo l'Italia, ma i Paesi europei democratici, devono pensare di sospendere i rimpatri forzati verso l'Egitto?
"Alla luce di quanto appena detto credo sia doverosa quantomeno una riflessione sull'opportunità di rimpatriare le persone in Egitto. Non è la prima volta che il Garante nazionale chiede riflessioni approfondite su determinate destinazioni: lo abbiamo fatto di recente, ovviamente, per i rimpatri in Afghanistan".

 In Italia c'è il caso di un giovane egiziano, Hassan Sharaf, morto in carcere in circostanze non chiare. È di ieri la notizia che un processo si farà, ma che la data dell'udienza è fissata per il 2024. Cosa pensa di questo caso?
"L'unica parte positiva di questa terribile vicenda è che sia in corso un procedimento giudiziario per far luce sulla morte di Hassan Sharaf. Il dovere dello Stato italiano però è quello di dare conto di quanto è avvenuto in tempi brevi. Ma tutto ciò rinvia da un lato ad alcune lentezze che si registrano per molti motivi in ambito giudiziario, dall'altro alla complessità di indagini di questo tipo. Certo, anche i familiari di Hassan Sharaf hanno diritto a che la verità giunga in tempi brevi".