Trentaduesimo suicidio in carcere nel 2023: una donna prossima ad uscire

È una donna, la prima di quest’anno, la persona che si è tolta la vita in carcere ieri sera, a Torino: sarebbe uscita il 21 agosto, mancavano poco meno di due mesi alla fine della pena che stava scontando dal ferragosto del 2019.

Era arrivata alla fine di una detenzione di quattro anni e 10 mesi, di un percorso che presenta tutti i segni della positività, considerata la mancanza di sanzioni disciplinari, la concessione di quasi un anno di liberazione anticipata, la collocazione nella sezione ‘a trattamento intensificato’.

La sua morte va ad accrescere, in una linea di tendenza drammaticamente costante, il numero dei suicidi in carcere del 2023: 32, a metà esatta dell’anno. Sempre con la premessa che l’atto del togliersi la vita richiede il rispetto dovuto all’insondabilità di una decisione così intima e tragica, il Garante nazionale deve, ancora una volta, mettere in luce come il fenomeno dei suicidi in carcere non possa essere ricondotto in modo semplificato alle condizioni materiali degli Istituti o al loro affollamento.

Il suicidio di chi è prossimo all’uscita in libertà, magari dopo aver scontato una lunga pena, non è ragionevolmente riconducibile a elementi, come il degrado delle strutture o la densità della popolazione detenuta, che si sono sperimentati lungo tutto il corso della detenzione. Una riflessione analoga vale per chi si suicida a poche ore, a pochi giorni dall’ingresso in carcere, 15 nel 2022, sul totale degli 85 suicidi, di cui 10 nelle prime 24 ore: oltre alla drammaticità del vissuto che ha determinato la detenzione, non è tanto l’impatto con le condizioni del carcere a poter determinare quel gesto, quanto la percezione della persona di essere caduta in un buco nero senza vie d’uscita.

Un buco nero che chi si toglie la vita a poco tempo dalla fine della pena vede, chiaramente, davanti a sé: la mancanza di prospettive di un effettivo reinserimento nella vita sociale, di riferimenti di sostegno, di possibilità di superamento dello stigma sociale, avvertito come presente e inalterato. Per questo e più ancora che per tutte le altre situazioni, la morte di chi è vicino a tornare in libertà interroga e coinvolge implacabilmente tutta la società civile: le reti di sostegno sociale come l’intera comunità, assenti rispetto al dovere civico di reintegrare chi ha terminato di scontare una pena.