Roma Tre

Il Garante nazionale a seguito di gravi fatti che hanno coinvolto alcuni operatori di diverse Forze di polizia

Roma, 31 luglio 2020 - A seguito di gravi fatti che hanno coinvolto alcuni operatori di diverse Forze di polizia, il Garante nazionale ha incontrato i vertici della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e della Polizia penitenziaria per esprimere la preoccupazione per il rischio del diffondersi di una cultura della contrapposizione che non potrebbe che portare a una lacerazione sociale, una lacerazione di cui il Paese nel suo complesso finirebbe per essere vittima.

Da qui l’esigenza, espressa dal Garante e condivisa dai responsabili delle Forze di Polizia, di agire insieme per una formazione e una crescita della cultura dei diritti degli operatori capace di dare corpo e sostanza a un agire rispettoso dei principi della Costituzione, anche in condizioni difficili.

Il Garante nazionale ringrazia per la loro disponibilità gli interlocutori di così alto livello incontrati in questi giorni e assicura il proprio impegno a cooperare e vigilare.

Segue una dichiarazione del Garante nazionale in relazione a tali incontri.

Dichiarazione del Garante nazionale

Il Garante nazionale ha osservato con viva preoccupazione le drammatiche vicende che hanno gravemente coinvolto taluni operatori delle Forze di Polizia. La preoccupazione discende dal rischio che tali vicende ingenerino una cultura della contrapposizione che, nell’impropria generalizzazione che essa comporta, può costituire un elemento di lacerazione nel contesto sociale – una lacerazione di cui il Paese nel suo complesso finirebbe per essere vittima.

Sono venute alla luce ripetute segnalazioni di episodi di violenza nell’Istituto penitenziario di Torino, già riportate al Garante nazionale nel passato e che avevano indotto il Garante stesso a produrre formale denuncia alla Procura della Repubblica del capoluogo piemontese. Sono episodi su cui doverosamente ha indagato la magistratura inquirente e su cui si pronunceranno gli organi deputati. Tuttavia, proprio le carte dell’indagine hanno evidenziato anche una cultura di alcuni settori, altrettanto grave proprio perché espressione di persone che indossano una divisa. Tale aspetto pone seri interrogativi sulla capacità e sulla volontà di intervento da parte di chi aveva il compito di vigilare e di indirizzare, al contrario, verso una cultura della tutela di quanto la Costituzione e l’ordinamento normativo del nostro Paese prevedono.

Analoga devianza culturale è emersa dalle indagini avviate dalla Procura della Repubblica nei confronti del piccolo ma destabilizzante gruppo di carabinieri di Piacenza, anch’esso portatore – al di là dei reati penali che è compito della magistratura accertare – di una visione del proprio ruolo e dei poteri e degli obblighi che da esso discendono in pieno contrasto con la tradizione dell’Arma e con i valori su cui la Repubblica si fonda e il cui rispetto affida proprio alle Forze dell’ordine.

Altri episodi riferiti in questi giorni e relativi a un fermo a Roma, per ora affidati all’iniziale accertamento di quanto riportato, chiamano in causa alcuni agenti della Polizia di Stato e portano nuovamente all’attenzione quanto il Garante ha recentemente segnalato alla procura di Agrigento circa la concezione di taluni del proprio ruolo nei confronti di persone fermate o ristrette: persone affidate al loro controllo, responsabilità e tutela. Ancora una volta, anche in questi casi, non è compito del Garante occuparsi della rilevanza penale degli episodi, quanto segnalare la cultura che essi esprimono.

Sono episodi differenti che chiamano in campo settori diversi e che certamente, pur non rappresentando la complessiva cultura delle Forze di appartenenza dei singoli, pongono interrogativi al Garante nazionale che per compito istituzionale collabora con tutte le Forze di Polizia in una prospettiva di cooperazione e critica propria del mandato. Un ruolo che certamente è riconosciuto dalle Forze stesse come contributo di valore nel proprio operare. 

La presenza del Garante nazionale nella formazione del personale dei diversi Corpi di Polizia se, da un lato, è testimonianza di tale cooperazione, dall’altro pone anche al Garante stesso interrogativi su come reprimere nel concreto tali atteggiamenti attraverso mutamenti culturali che agiscano ancor prima che essi possano svilupparsi in atti di grave rilevanza disciplinare e penale.

Come è stato condiviso da tutti gli interlocutori, non è tollerabile il linguaggio che si è visto emergere da carte che riportano intercettazioni di colloqui di appartenenti a Forze dell’ordine; non è ammissibile che le persone, una volta riportate sotto il controllo di chi esercita l’autorità in nome della collettività, possano subire forme di violenza; né è accettabile qualsiasi indulgenza o asserita inconsapevolezza perché finirebbe implicitamente per proiettare quell’innegabile messaggio di impunità che è il vero germe distruttivo delle Forze dell’ordine in una democrazia.

A partire da questi punti, il Garante nazionale ha voluto incontrare i vertici della Polizia di Stato, dell’Arma dei Carabinieri, della Polizia penitenziaria e della Guardia di finanza per offrire il proprio contributo a una riflessione su tali temi e a un rafforzamento di un’azione comune per la costruzione di un impianto culturale che isoli tali comportamenti. Per tale motivo, il Presidente del Garante nazionale, Mauro Palma, insieme a una delle due componenti del Collegio, Daniela de Robert, ha incontrato il Prefetto Franco Gabrielli, il Comandante generale Giovanni Nistri, il Comandante generale Giuseppe Zafarana e il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, Bernardo Petralia.

Al centro degli incontri la condivisione di tre termini che rischiano per taluni di costituire dei costruttori culturali negativi e che richiedono quindi particolare attenzione nelle fasi di formazione iniziale e in itinere. La prima parola erroneamente declinata riguarda la produttività della propria azione, interpretata come quantità di operazioni portate avanti, quale indicatore della positività del proprio ruolo e della speranza di carriera. La seconda parola è inimicizia, qualora essa finisca per connotare la relazione tra chi esercita la funzione di repressione del reato e il relativo autore, non più visto come responsabile di quanto commesso e quindi necessario destinatario dell’azione repressiva e sanzionatoria, ma come nemico da annientare. La terza parola riguarda il rischio di implicita impunità che può nascondersi dietro un male interpretato spirito di appartenenza a un Corpo, non più visto come espressione dei suoi valori, ma come velo difensivo anche di chi tali valori ha offeso.

Il Garante nazionale ha preso atto, con soddisfazione e certamente senza stupore, della volontà di tutti i vertici delle Forze di Polizia di proseguire nella collaborazione, ragionando insieme su come rafforzare gli esistenti protocolli di intesa stipulati già nel passato con il Garante, nell’ottica della costruzione di una cultura che a ogni livello sviluppi e dia concretezza a quei valori di cui ciascuna Forza è portatrice.

La Costituzione del proprio Corpo come parte civile in processi che si potranno tenere per gli episodi oggi oggetto di cronaca – così come già fatto dall’Arma dei Carabinieri in un processo in corso – sarà, a parere del Garante nazionale, un elemento tangibile di volontà in tale direzione e darà concretezza a quell’impegno di cui la partecipazione del Garante nazionale alla formazione è espressione.

Il Garante nazionale ringrazia per la loro disponibilità gli interlocutori di così alto livello di questi giorni e assicura il proprio impegno a cooperare e vigilare.