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IL GARANTE NAZIONALE NEI GIORNI DELL’EMERGENZA COVID-19

22 maggio

Persone migranti

Nei sette Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr), continua a diminuire il numero delle presenze, che questa settimana sono 195 contro le 204 della scorsa. Una tendenza che si conferma, dovuta sia al minor numero di ingressi, sia alle mancate proroghe del trattenimento.

Si conferma anche il positivo andamento rispetto alla diffusione del Covid-19 in tali strutture. Attualmente, infatti, non risulta alcun caso di positività e dall’inizio dell’emergenza i casi sono stati pochissimi e peraltro nella stragrande maggioranza si sono negativizzati in breve tempo. L’attenzione e il tempestivo impegno dell’Amministrazione, centrale e locale, hanno scongiurato quel rischio che è insito in ogni comunità chiusa e che è apparso in tutta la sua evidenza in strutture di altro tipo.

In calo anche le presenze di cittadini stranieri all’interno degli hotspot che passano dalle 265 della scorsa settimana alle 165 di questa: la struttura di Pozzallo attualmente non ospita alcuna persona, essendo finita la quarantena di chi vi era ospitato ed essendo state queste persone tutte trasferite in strutture di altro tipo. Ciò dà ragione della diminuzione complessiva delle presenze, dato che negli altri hotspot continuano le quarantene con gli stessi numeri (108 a Lampedusa e 57 a Messina).

Come è noto e ovvio, anche altre strutture sono utilizzate per la quarantena: “Villa Sikania” a Siculiana (Agrigento), “Azienda Don Pietro” vicino a Comiso, hotel “Piano Torre” nella cittadina capitale delle scienze astronomiche Isnello (Palermo), “Residence Arcobaleno” a Siracusa. Meno ovvia, ma altrettanto nota, è l’utilizzazione della nave “Moby Zazà” nell’assegnato punto di fonda nella rada di Porto Empedocle (Agrigento). Alla sua giocosa immagine dipinta sullo scafo, corrisponde drammaticamente la realtà di chi, scappato presumibilmente da guerre o da prigionie, attende lo scorrere della, pur doverosa, quarantena con mancanza di informazioni certe e di supporto contro la disperazione che tale stallo può determinare e che ieri ha visto un tragico epilogo.

Il Garante nazionale comprende la necessità di tutelare sempre la salute dei singoli e delle collettività, di coloro che arrivano e di coloro che devono ricevere le persone che giungono nel proprio territorio; comprende anche come il supporto medico della Croce Rossa sia stata una scelta orientata a fornire la maggiore assistenza sanitaria possibile. Ma proprio la comprensione di tali necessità – che pure inducono a mettere da parte l’intrinseca perplessità in merito alle conseguenze del decreto interministeriale sull’impossibilità di considerare i porti italiani come Place of safety – porta a richiedere che, sin dalla permanenza sulla nave, siano messe in atto tutte le procedure necessarie affinché, una volta finita la quarantena, le persone, ormai informate sui propri diritti e sulla propria possibilità di chiedere asilo, possano accedere a tutto ciò che la nostra Costituzione garantisce in questo ambito.

Reti nazionali e internazionali

Il Garante nazionale ha partecipato al webinar su “I diritti umani nell’epoca del Covid-19” organizzato dal Centro studi di politica internazionale, con la presenza anche dei rappresentanti degli organi europei che operano in tema di diritti fondamentali.

L’occasione è stata utile per fare il punto sulle connotazioni assunte dagli interventi messi in campo dalle Autorità per affrontare l’emergenza sanitaria nelle strutture chiuse e sul riflesso oggettivo che questi hanno avuto sulle persone in esse ristrette. In particolare, il Garante nazionale ha illustrato il contesto in cui si è articolato l’intervento nell’ambito detentivo penale. Quattro le tappe che lo hanno segnato: ansia, violenza, rasserenamento e riduzione dei numeri e, infine, l’elemento “strillato” dell’aver abbassato la guardia sulla criminalità organizzata. Ansia, rispetto a strutture che si chiudevano ancora di più per l’impossibilità di accesso di parenti e di altre figure che in essi abitualmente entravano per realizzare attività e progetti; un’assenza che oltre a rendere vuoti i corridoi rendeva vuoto anche il tempo. A essa è seguita la fase della violenza e dei disordini, su cui molto la comunità internazionale ha chiesto all’Italia e rispetto ai quali bisognerà tornare a riflettere. Il rasserenamento, un po’ ovunque, è stato caratterizzato da quel surplus che l’utilizzo di tecnologie ha potuto offrire a una comunicazione sempre affidata solo alla voce o alla penna o ancora a quei pochi volti che l’ambiente di riferimento selezionava per il colloquio visivo. La tecnologia ha riportato l’immagine degli ambienti a cui le persone sono legate, in alcuni casi i volti di coloro che non possono andare ai colloqui; complessivamente, una domesticità che rende meno solido il muro tra l’esterno e l’interno. Tutto ciò è stato interpretato da alcuni come abbassamento della guardia e quando a tale preconcetto si è unita l’effettività di provvedimenti di detenzione domiciliare che, strillati senza darne il senso, hanno potuto suscitare perplessità, quando tutto ciò è avvenuto, il desiderio di tornare indietro da parte di chi da sempre mal sopporta che quel muro non sia una definitiva separazione concettuale, si è reso evidente.

L’incontro sui diritti umani ha trovato un punto di accordo: la complessità richiede sempre ponderazione, calma nel giudizio, toni moderati. Richiede la capacità di misurarsi con essa: il dubbio è se i Paesi europei – e l’Italia tra essi – siano in grado di esprimere quel tono moderato che nasce dal riconoscimento della complessità e dalla sicurezza delle proprie scelte.

 

Istituti penitenziari

La miopia è sempre dietro l’angolo. Alcuni Garanti locali, in particolare quelli piemontesi, hanno segnalato come i primi aliti di riduzione dell’ansia e di progressiva riapertura di colloqui visivi si siano trasformati in impetuosi venti per spazzare via ciò che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione avevano introdotto. È vero che era stata una introduzione dettata da una necessità – quella di diminuire la tensione intrinseca a non poter vedere le proprie persone care – ma uno sguardo non miope dovrebbe saper cogliere in ciò che accade per accidente il valore – se questo lo ha – che possa essere assunto come permanente. Così, gli strumenti introdotti in carcere recentemente non dovranno sparire al superamento dell’emergenza: al contrario, dovranno far capire come essi possano essere utilizzati in molti altri settori. Anche perché lo sviluppo del presente e le espressioni nonché i linguaggi che il presente assume come propri non possono mai essere espunti da quei percorsi che dovrebbero preparare al futuro del ritorno. Un futuro svincolato dal presente che, come un elastico, vuole sempre tornare al passato è un futuro di non reinserimento possibile.

Certamente, questo è un discorso che va declinato lungo l’asse della necessità assoluta di garantire sicurezza e dell’interruzione di legami criminali. Ma tale necessità deve sapersi coniugare con tutto ciò che la contemporaneità può offrire.

Gli attuali numeri ci dicono che il bilancio tra ingressi, scarcerazioni e uscite in misura alternativa, quantunque tuttora positivo a vantaggio delle seconde rispetto alle prime, va progressivamente riducendosi. In gennaio tale bilancio prevedeva mediamente ogni giorno l’aumento di 16 presenze che portava quindi a un aumento medio di 500 persone detenute al mese, aprile ha visto una riduzione di più di 90 persone al giorno (che comportano mediamente circa 3000 al mese), mentre in questi giorni di maggio la riduzione media giornaliera di circa 20. Ma, un esame più accurato di tale bilancio porta a dire che questo valore medio è sbilanciato verso un valore più alto all’inizio di maggio e un valore ridottissimo in questi ultimi giorni. Le persone detenute presenti nelle stanze sono oggi 52.636. Le detenzioni domiciliari concesse dopo il 18 marzo sono 3379, di cui 975 con applicazione del braccialetto elettronico.

Diminuisce il numero di persone positive al Covid-19 presenti in carcere, oggi sceso a 104 (più una persona ricoverata in ospedale) e anche quello delle persone positive tra il personale, attualmente pari a 150. Come più volte sottolineato, questi valori non inducono a ridurre l’attenzione perché in tutte le situazioni connotate da concentrazione e chiusura, basta un battere d’ali a determinare un terremoto.

Il Garante nazionale ha incontrato il Capo dell’Amministrazione penitenziaria, Dino Petralia, con il quale ha avuto uno scambio di vedute nel comune riconoscimento della distinzione di ruoli, ma nell’altrettanto comune impegno a che l’esecuzione penale sia sempre attuata nel solco del dettato che la Costituzione e le Convezioni internazionali le assegnano. Entrambi hanno riconosciuto la necessità di orientare a tale obiettivo tutte le azioni che dai rispettivi ruoli discendono, ben sapendo di poter contare su un personale che ha operato anche in grave difficoltà negli Istituti penitenziari, ai diversi livelli di professionalità, che merita riconoscimento al pari di altri settori più noti all’opinione pubblica. Questo personale non può essere mai ricondotto nell’opinione diffusa a qualche urlaccio che, di tanto in tanto, proviene da chi vorrebbe avesse un profilo ben diverso.

Il Garante nazionale si recherà domani a rendere omaggio alla memoria di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, davanti all’auto conservata presso la Scuola dell’Amministrazione penitenziaria intitolata proprio al giudice Falcone.

Area della salute

Il Garante nazionale continua a interrogarsi sulle asperità che tuttora si verificano in alcune attuazioni della meritoria riforma che ha abolito gli Ospedali psichiatrici giudiziari e ha introdotto le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza in ambito psichiatrico (Rems). Sono asperità che si riscontrano non solo in quei brandelli di dibattito di chi vorrebbe ricostituire in esse la logica dell’indistinto ospedale psichiatrico, quantunque in misura ridotta e diffusa, ma anche nelle situazioni di non effettiva presa in carico da parte dei servizi territoriali di qualche persona più problematica ospitata in Rems, che si evidenzia nella produzione di piano terapeutici che nella loro anodina genericità pongono il magistrato nella condizione – in qualche caso anche condivisa – di prolungare ad libitum la misura di internamento. Così capita ancora di dover rimettere in campo la discussione attorno al concetto di limite e al suo corollario riassumibile nella parola termine. Proprio questo dibattito il Garante vuole sviluppare con gli attori (StopOpg, la Società della ragione, …) che in molti luoghi mettono in campo intelligenza e continuità della riflessione per costruire una fase di condivisione effettiva di quel pensiero su cui la riforma si è costruita. A tal fine sta rafforzando tutte le sue Unità e anche sul tema della salute sta cercando di selezionare personale di supporto: oltre agli esperti, lo staff continuativo del proprio Ufficio.

Per tale motivo ha indetto una procedura selettiva, per titoli e colloquio, di personale del comparto della salute (due posizioni i. "categoria C" e una in "categoria D"). Il bando è dal 5 di maggio sul sito del garante e la scadenza è vicina: occorre essere già in ruolo nell’Amministrazione e operare nel comparto della salute.  Alla domanda va soltanto allegata l’autocertificazione dei propri titoli. Si può quindi ragionevolmente fare ancora in tempo.

Relazione al Parlamento del Garante nazionale

La Relazione al Parlamento 2020 sarà presentata il 26 giugno, giornata mondiale della lotta contro la tortura.  

 

  • Tutti i numeri del Bollettino sono disponibili sul sito del Garante nazionale nella barra di navigazione nell’area Covid-19: http://www.garantenazionaleprivatiliberta.it/gnpl/it/covid19.page